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27 febbraio 2024

Delle ragioni per cui Degas è stato accusato di misoginia e suo zio Bellelli di stupro (e della necessità di risalire sempre alle fonti)

  

 

Della misoginia di Degas si discute da tempo e sono in molti a pensare che egli avesse grosse difficoltà di rapporti con le donne.

In un importante articolo del 1977 firmato da Norma Broude dal titolo giustappunto Degas’s “Misoginy” (1), apprendiamo come la prima fonte di questa convinzione la si possa rintracciare in un libretto di poche pagine di J. K. Huysmans, dal titolo “Certains”, che risale al lontano 1889, in cui, a partire da una mostra di disegni di Degas dal titolo Suite de nus de femmes se baionant, se lavant, se séchant, s’essuyant ou se faisant peigner, egli attribuiva all’artista il desiderio di "umiliare" e "svilire" i suoi soggetti. Degas, sosteneva Huysmans, era colpevole di “un'attenta crudeltà e un paziente odio nei suoi studi di nudo".

All’epoca Degas, interrogato sull’argomento da Pauline, una sua modella, pare che rispondesse sprezzante: Huysmans? È uno stupido idiota. Perché parla di pittura? Non ne sa nulla! Tutti questi scrittori pensano di potersi sedere e diventare critici d'arte, come se la pittura non fosse la forma meno accessibile di tutte".

Eppure quel giudizio estremamente tranchant di Huysmans gli si è appiccicato addosso, quelle frasi scritte con il gusto decadente per l’iperbole hanno lavorato nel tempo lasciando tracce indelebili. Anche articoli tanto ben documentati, come quello già citato di Norma Broude, non sono riusciti a riscattarlo.

La Broude, che pure è una valente storica dell'arte americana e che, oltre ad essere una studiosa della pittura francese e italiana del XIX secolo, è stata, con Mary Garrard, una delle prime leader del movimento femminista americano ad aver ridefinito la teoria dell'arte femminista, ha cercato a varie riprese di fare chiarezza sull’argomento ma sembra essere rimasta inascoltata. Anche quando ha portato a sua difesa l’esempio dell’Afrodite accovacciata ellenistica di Doidalsas di Bitinia, di cui esistono numerose copie romane e da cui Degas poteva aver trovato ispirazione.

  

 

Insieme ai tre disegni di Degas c’è la foto in bianco e nero di quella che viene portata ad esempio da Norma Broude nel suo articolo mentre l'altra sembra fosse la copia della statua di Afrodite preferita da Cézanne, che la disegnò più volte al Louvre e l’adattò al suo “Les Grandes Baigneuses”, realizzato fra il 1898 e il 1906, senza suscitare la stessa acredine che avevano provocato i nudi di Degas. Le altre due foto, a colori, sono di statue tratte dallo stesso soggetto che ho trovato qualche giorno fa al Museo Nazionale Romano.

C’è da dire che la discrezione di Degas rispetto alla propria vita privata non ha aiutato i ricercatori che hanno voluto investigare su un pittore che, come lui, ha avuto al centro della sua opera quasi sempre la figura femminile.

Come è noto Degas non si è mai sposato, non si sa nulla di accertato di sue eventuali relazioni sentimentali, i tentativi di ipotizzarne l’omosessualità sono caduti nel vuoto.

Malgrado questo, ancora nel 2009, in un lungo articolo sulla mostra “Degas and the dancers”, tenutasi a Detroit e Filadelfia in quell’anno, lo storico dell'arte John Richardson lo definisce categoricamente un "misogino in una società misogina". (2) E argomenta a lungo sulla sotterranea corrente di crudeltà che si può individuare al fondo del suo voyerismo, sul quel suo particolore genere predatorio che si nutriva dell’osservazione delle giovanissime ballerine nei momenti di maggiore fatica, quando mettevano sotto forzo le proprie articolazioni alla sbarra, o delle sue modelle, quando erano costrette a posare ore e ore in posizioni disagevoli.

Analizza anche l’ipotesi di una sua probabile impotenza sessuale, visto che non accettava i favori che gli sarebbero stati forniti senza difficoltà dalle stesse modelle, e si dice sorpreso quando riferisce che Degas, partendo con l’amico Giovanni Boldini per l’Andalusia, gli avesse consigliato un buon fornitore di preservativi per “aver cura di riportare solo cose buone dal nostro viaggio”.

A tanti anni di distanza, l’articolo di Richardson si conclude con l’invito a vedere la mostra su Degas e le sue ballerine senza indulgenze, proprio con l’occhio di Huysmans.

E qui mi fermo con le citazioni perché preferisco non accanirmi sulle femministe accecate dall’odio per i maschi che Degas hanno più volte cercato di farlo a pezzi, come quelle che hanno partecipato al simposio organizzato dalla Tate Gallery di Liverpool a sostegno della mostra "Degas: Images of Women" (21 settembre-31 dicembre 1989). Rimando, per ulteriori e molto ben documentati approfondimenti in merito, ad una recensione della stessa Norma Broude del 1995, uscita su Woman's Art Journal, vol. 16, no. 2, su Dealing with Degas: Representations of Women and the Politics of Vision a cura di Richard Kendall e Griselda Pollock Universo, 1992.

Forse, quello che irritava di più in Degas e che in qualche modo infastidisce ancora oggi, era il fatto che non si facesse condizionare dall’idea di dover piacere a tutti i costi, che non si sentisse obbligato a lusingare i soggetti che sceglieva di ritrarre rendendoli più gradevoli di come li vedeva lui, con i suoi occhi malati ma attenti alla luce e al movimento, del tutto indifferente alle altrui vanità.

Soprattutto nel caso delle donne, questo suo modo di lavorare poteva creare qualche problema di cui Degas stesso era ben consapevole.

Come avrebbe detto una volta al pittore Georges Jeanniot: "Le donne non potranno mai perdonarmi; mi odiano, sentono che le sto disarmando. Le mostro senza la loro civetteria, nello stato di animali che si puliscono da soli".

Eppure, se si rilegge il suo diario di viaggio dell’estate del 1858 (vedi il mio post “In viaggio col giovane Degas” https://lamiafamigliabellelli.blogspot.com/2023/06/in-viaggio-col-giovane-degas.htm), se si analizzano i molteplici rapporti di amicizia e di affetto della sua vita, si vede bene come egli non solo non avesse alcun preconcetto nei confronti delle donne ma ne fosse spesso ammaliato, soprattutto quando si trovava davanti a delle personalità femminili forti.

Un esempio è quello della grande attrice italiana Adelaide Ristori, per la quale nutriva una enorme ammirazione, ma, in generale, attraverso le lunghe citazioni riportate su i suoi cahiers, possiamo spesso rilevare quanto egli fosse affascinato dai personaggi femminili drammatici, da cui ha più volte cercato di trarre fonte di ispirazione. (vedi il mio post relativo alla Ristori: https://lamiafamigliabellelli.blogspot.com/2023/04/edgar-degas-e-il-teatro-adelaide-ristori.html)

Per altro, quando era ancora molto giovane, Degas sperava davvero di trovare una donna adatta a lui. Nel diario di viaggio già citato, due giorni prima di arrivare a Firenze per passarvi gli ultimi otto mesi del suo soggiorno italiano presso gli zii Bellelli, scriveva:

Puis-je trouver une bonne petite femme simple, tranquille, qui comprenne mes folies d’esprit et avec qui je passe une vie modeste dans le travail! Nest-ce pas là un beau rêve?

Le cose sono andate in modo tale che quello è rimasto solo un sogno e Degas non ha mai avuto nessuna occasione concreta per tradire, in favore della passione per una donna, la sua principale scelta di vita, quella di votarsi anima e corpo all’arte.

Personalmente non vedo dunque molti appigli per rintracciare quei motivi di risentimento e di crudeltà nei confronti delle donne che gli si sono voluti attribuire.

Anche il fatto che abbia perso la giovanissima madre quando era nella prima adolescenza non giustifica alcuno di questi sentimenti, perché casomai lo avrebbe portato alla ricerca di una figura materna sostitutiva e al massimo potrebbe spiegare il suo grande attaccamento per la zia Laura De Gas Bellelli.

E ora veniamo alla seconda diceria, nei confronti questa volta dello zio di Degas, Gennaro Bellelli, che era il marito della zia Laura, sorella di suo padre Auguste.

Ma prima è necessario raccontare alcuni antefatti.

La zia Laurette, sorella di suo padre e coetanea di sua madre, diversamente da quanto supposto da alcuni storici che datano il loro primo incontro nel 1856, quando Degas arriva per la prima volta in Italia alla scoperta dei maestri italiani, conosceva il nipote fin da quando era un bambino molto piccolo. Fra l’altro era stata anche la sua madrina di battesimo e aveva soggiornato per un anno a Parigi, con sua madre Aurora e la sorella più giovane Fanny, quando il piccolo Edgar cominciava appena a camminare.

Nel 1840, all’epoca della nascita di sua sorella Thérèse, Edgar, che aveva sei anni, aveva passato alcuni mesi con i suoi genitori nel palazzo del nonno nel centro di Napoli e la zia Laura, che a quei tempi non era ancora sposata, si era molto affezionata di lui.

Dieci anni dopo, nel 1850, Edgar, allora quindicenne, aveva incontrato più volte la zia quando lei aveva raggiunto a Parigi il marito Gennaro, deputato liberale del Regno delle Due Sicilie, nei primi tempi della sua fuga da Napoli dopo i tragici eventi del 1848. Laura allora aveva con sé la piccola Giovanna ed era rimasta a Parigi per circa un anno prima di rientrare in Italia e dare alla luce la seconda figlia, Giulia.

Un grande affetto dunque fra zia e nipote, ulteriormente alimentato quando Degas, nell’estate del 1856, sbarcato a Napoli per la prima tappa del suo Grand Tour in Italia, aveva soggiornato per tre mesi nella villa del nonno a San Rocco di Capodimonte dove aveva ritrovato Laura e le sue bambine e aveva cominciato a fare i loro primi ritratti.

Due anni dopo, sulla via del rientro in Francia, Edgar aveva quindi accettato con piacere l’invito di Laura a fermarsi a Firenze, dove la donna nel frattempo si era trasferita con le figlie Giovanna e Giulia per riunirsi definitivamente con il marito Gennaro che vi aveva stabilito già da alcuni anni la sua dimora da esule.

Quando però, ai primi di agosto del 1858, Edgar arrivò a Firenze, Laura era appena partita con le figlie, richiamata a Napoli al capezzale del padre morente, il nonno René Hilaire.

Edgar rimase comunque ad attenderla, per tre lunghi mesi, in un crescendo di impazienza, noia e solitudine, solo con lo zio Gennaro che conosceva già da molto tempo ma con cui non aveva un grande rapporto di intimità.

Quando finalmente Laura ritormò, Edgar passò molto del suo tempo con la zia, affranta per la morte del padre e in sempre maggior disaccordo col marito che, a suo dire, in attesa degli sviluppi politici dei movimenti insurrezionali che infiammavano la penisola a cui partecipava segretamente, non si risolveva a trovare una seria occupazione che non fosse legata ai suoi libri e ai suoi studi. Fu durante quel periodo che Degas concepì, in una lenta e complessa progressione, quello che sarà considerato il suo capolavoro giovanile: La famiglia Bellelli.

Nel ricostruire tutte le vicende relative al quadro, allo scopo di farne una mia rilettura più personale e, come dire, “familiare”, ho cercato di risalire il più possibile alle fonti per capire da dove avesse origine la convizione, da parte di molti storici dell’arte, che la presunta infelicità di quella famiglia, raffigurata da Degas in un grande quadro quasi a grandezza naturale, fosse da attribuire interamente alla crudeltà mentale del mio trisavolo Gennaro Bellelli nei confronti della moglie.

Andando con ordine, nel 1946, nella ponderosa opera in quattro volumi di Paul-André Lemoisne, “Degas et son oeuvre”, si parla per la prima volta molto a lungo del quadro e se ne raccontano le vicende, note fino a quel momento, sottolineando in particolare l’elemento di novità costituito dalla posizione che Degas ha deciso di dare all’unica figura maschile che compare nel dipinto, ovvero Gennaro Bellelli.

“… le père de famille, celui qui devrait trôner au premier plan” e che invece è “assis de dos, ou presque, en veston d’appartement et qui tourne, avec ennui semble-t-il, et pour un instant seulement, son profil du côte de l’artiste,”.

Tutto ciò fa dire a Leimoisne che Degas, così tradizionale per quanto riguarda la sua educazione artistica, è stato molto audace e che

il faut qu’il ait été déjà entrainé par une convinction profonde de ce que l’on pouvait encore trouver, ou plutôt retrouver, dans l’art.

L’anno successivo, però, nel Catalogue des peintures et sculpures exposée au Musèe de l’Impressionisme, a pg 30, Helene Adhemar, conservatrice al Musée du Louvre dal 1936, ci fornisce una informazione del tutto inedita, ma non suffragata da alcun tipo di documentazione, sui Bellelli ovvero che “L’oeuvre fut sans doute exécutée entre 1860 e 1862, année où la baronne Bellelli était en deuil de sons fils Jean”. Questa informazione serviva a spiegare il motivo per cui la donna e le sue figlie vestono di nero ma è stata successivamente smentita dal fatto che il loro lutto era dovuto invece alla recente morte del padre di Laura, Renè Hilaire, nonno dell’artista.

Ora è bene dire che di questo figlio, citato dalla Adhemar, nessuno ne conosceva l’esistenza, nemmeno noi che di Laura siamo i discendenti diretti.

Per scrupolo ho comunque fatto una ricerca approfondita in merito, sia nell’Archivio storico di Firenze che in quello di Napoli, per verificare se fosse mai esistito un bambino con quel nome o nato in quel periodo, senza trovarne la minima traccia.

In famiglia sapevamo però dell’esistenza di un primo figlio, maschio, di Laura e Gennaro, cui era stato dato il nome di Giorgio, nato e vissuto solo “pochi momenti”, così come recita la dichiarazione di morte a firma del nonno René Hilaire De Gas datata 16 marzo 1846, e dunque di parecchi anni anteriore alla realizzazione del dipinto.(3)

La questione del figlio però non finisce qui perché viene ripresa da una importante studiosa di Degas, Jean Southerland Boggs che, su l’Art Bulletin del giugno 1955, fa riferimento al suddetto catalogo curato da Hélène Adhemar dando per assodata l’esistenza di un bambino di nome Jean. Nello stesso articolo, facendo questa volta riferimento allo studio di Lemoisne, la Boggs precisa anche che:

“Lemoisne tells us that the painter was fond of his aunt, which is probably true, although Lemoisne does not give his sources. Degas may have admired her proud dignity in the face of her husband’s revolutionary activities and exile, of her father’s illness and death the summer of 1858, and of her pregnancy.”

Con ciò la Boggs ci fornisce un nuovo elemento inedito, quello di una gravidanza di Laura in atto nel periodo in cui Edgar soggiornava a Firenze. Elemento anch’esso privo di fonti e che, comunque, sarebbe stato in contraddizione col fatto che il bambino morto a cui si riferisce la Adhemar, al momento dell’elaborazione del dipinto, non era ancora nato. In ogni caso, Lemoisne aveva avuto modo di leggere, in francese, lettere scritte da Laura al nipote Edgar e dedurne l’evidente intimità tra i due, per cui le sue fonti ce le aveva, eccome.

Più avanti nell’articolo, la Boggs insiste sulla questione motivando il gesto di Laura nel dipinto - quello di appoggiare la sua mano sul tavolino - con la necessità di bilanciare il suo corpo gravido.

“Degas makes use of the hands to characterize her more fully. The left is pressed down on the table in a gesture which suggests a certain amount of disdain but which is also physically necessary to balance her pregnant body. The baroness seems to have been the spiritual backbone of this unhappy household.”

Sebbene ci siano alcune altre inesattezze in quel primo studio della Boggs sui Bellelli, non voglio per questo sminuire il lavoro di una grande storica dell’arte che si è molto impegnata nel far conoscere al mondo i legami di Degas con la sua famiglia italiana, legami fino a quel momento passati un po’ sotto silenzio da parte degli studiosi francesi. Voglio però cercare di far capire come certe deduzioni un po’ frettolose, prive di un fondamento circostanziato, possano dar luogo ad errori di valutazione, anche gravi, che, nel caso di una interpretazione del tutto arbitraria di un quadro, possono condurre in direzioni incontrollabili.

Il fatto che l’ampio abito nero di Laura potesse nasconderne una eventuale gravidanza non vuol dire automaticamente che la donna fosse realmente incinta. E infatti, se si osservano con attenzione uno per uno tutti i molteplici disegni preparatori fatti da Degas a Firenze alla zia, in nessuno di questi si può presumere dalla sua “linea” che la donna sia in una fase di gravidanza avanzata. Di tale stato, che sarebbe stato alquanto eccezionale visto che Laura a quei tempi era già una donna di quarantacinque anni, per altro non si fa alcun cenno nelle numerose lettere che Laura scriverà in seguito al nipote, a riprova della grande intimità che si era rafforzata fra loro in quei mesi di stretta vicinanza. Lettere che sono comunque piene di esplicite lamentele circa la propria salute fisica e mentale, messa a dura prova dal cattivo carattere del marito.      

Mi sembra di poter affermare con sicurezza che non ci fosse alcuna evidenza del fatto che Laura fosse incinta. Ciò nonostante, da questa presunta gravidanza data per certa di un figlio maschio, non si sa come si è arrivati a desumere perfino che suo marito l’accusasse di essere la diretta responsabile della sua morte prematura, morte che lo aveva privato di quello che avrebbe potuto essere il suo unico erede maschio.

In un crescendo rossiniano di ipotesi sui significati dell’opera, in certi casi al limite del surreale, ci si è sbizzarriti al punto di fare anche un parallelo, in chiave contenutistica, fra questo dipinto e un altro, anch’esso alquanto controverso, che inizialmente era identificato semplicemente con il titolo “Interieur” e che in seguito, grazie ai numerosi interpreti degli intenti licenziosi di Degas, è universalmente noto sotto il nome di “Le viol”.

Si è dunque ventilato che Gennaro Bellelli, oltre all’accusa di una immensa crudeltà mentale nei confronti di sua moglie, l’aveva probabilmente anche abusata sessualmente.

Tutto ciò deve aver costituito il succulento materiale di base per una nota storica dell’arte e scrittrice come Marisa Volpi per poter elaborare il suo racconto, dal titolo “Il cuore di Degas”, in cui ipotizza un torbido rapporto sentimentale fra il giovane Degas e l’amata zietta.

Fra una conversazione d’amore e l’altra, mentre il crepuscolo scende su Firenze, la “superbia puritana della donna” (che in verità era una cattolica molto osservante), “gelosa del nipote”, la porta a rivelargli di essere rimasta incinta “contro la sua volontà” e “gli fa promettere di tenersi lontano dagli intrighi e dal matrimonio”. E più avanti continua sostenendo che: “Degas non esce più di casa… A quel punto non è Laura l’oggetto del desiderio, ma le figlie di lei, Giulia e Giovanna. Alcuni disegni dei volti delle bambine sono carezze sensuali mediate dalla fragile perennità del lapis.

Dunque, per chiudere il cerchio in bellezza, allo stupro si aggiunge anche una lieve aura di pedofilia che aleggia sul quadro unendo idealmente nelle loro diverse perversioni lo stesso Degas al mefistofelico zio Gennaro.

Marisa Volpi ha scritto il racconto “Il cuore di Degas”, che fa parte del suo libro “Fatali stelle”, come un’opera di finzione e in un’opera di finzione tutto è legittimo.

Personalmente, però, ritengo un po’ fuorviante la scelta di inserire quello specifico racconto nella pubblicazione a latere della mostra che la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma ha dedicato alla esposizione di questo unico dipinto di Degas, proprio perché Marisa Volpi è stata anche una nota storica dell’arte.

E’ una scelta che induce inevitabilmente ad una lettura contenutistica del quadro piuttosto limitante e che suggerisce indirettamente che i rapporti intercorrenti fra i personaggi raffigurati tra loro, e fra essi e il pittore, fossero nella realtà dello stesso genere di quelli descritti nel racconto.

Ora, fermo restando che per me quello che è importante non è difendere l’integrità morale di nessuno, mi pare ingiustificato dare per scontato, senza prove circostanziate, comportamenti così odiosi da parte di un uomo che, fra l’altro, si è battuto per difendere i propri ideali politici pagandoli a prezzo di tanti anni di esilio e di emarginazione, solo sulla base di sfoghi, chiaramente melodrammatici e sopra le righe, trovati nelle lettere confidenziali di sua moglie al giovane e fin troppo indulgente nipote.

Non bisogna dimenticare che la donna si trovava in un momento di grave disagio esistenziale e mentale dovuto al recente e forzato trasferimento in una città che non amava, mentre il grosso del loro patrimonio era stato confiscato dalla polizia borbonica, e suo padre, che era anche il suo tutore legale e sostegno affettivo ed economico dei Bellelli, era appena venuto a mancare.

Ce n’era abbastanza per manifestare apertamente ad una persona di famiglia come il nipote tutta la sua scontentezza per l’uomo con cui era sposata già da oltre sedici anni ma le cui idee politiche li avevano costretti a vivere in una città che detestava, così lontano dagli agi e dal calore umano della loro città natale.

Sul carattere querulo e catastrofistico di Laura, comunque, sarebbe stato importante leggere anche un’altra lettera, scritta il 14 maggio 1859 da suo fratello Achille De Gas al nipote Edgar appena rientrato a Parigi.

Il y a beaucoup de la faute de l’un et un peu de notre soeur aussi. Incompatibilité de caractère et d’éducation et par suite une manque d’amitié et d’indulgence qui grossit comme une loupe les defaults naturels des individus.

Dietro un tono molto diplomatico, lo zio Achille ridimensiona le preoccupazioni del giovane nipote che ha vissuto da vicino per alcuni mesi le tensioni all’interno della famiglia Bellelli, spiegandogli che forse le colpe di quell’atmosfera pesante non erano poi tutte da attribuire al solo Gennaro.

Del resto, se si volesse fare un po’ di facile analisi psicologica, basterebbe leggere le parole che Laura scriverà qualche mese dopo al nipote, a proposito di una giovane parigina di cui si è innamorato. Nel metterlo in guardia dalle facili infatuazioni, non è difficile cogliere un riferimento a sé stessa e alle difficoltà del proprio rapporto col marito.

Quando ci si appassiona per una persona si prevedono solo belle cose nell’avvenire ma spesso quando si è ben conosciuta questa persona e si è visto il rovescio della medaglia, oh quanto si vorrebbe annientarsi e ritornare al mondo sapendo meglio conoscere le persone. Sii certo che non è oro tutto ciò che luccica e che se tu prendessi una donna che senza preoccuparsi di ciò che guadagni vorrebbe avere un lusso che i tuoi mezzi non permetterebbero di soddisfare pensa dunque a che tormento sarebbe per te. E se questa donna, invece di incoraggiarti e renderti la vita piacevole, ti rimproverasse di averla messa in una posizione da non poter mai godere di tutti i piaceri che Parigi offre, e se non le bastasse la felicità di un menage semplice e di un buon accordo tra marito e moglie, che è la vera felicità di questo mondo, pensa dunque quanto saresti sfortunato con tutto ciò.

Comunque, di lì a poco, Gennaro Bellelli avrebbe finalmente fatto ritorno a Napoli con tutti gli onori per assumere la direzione di Poste e Telegrafi e, in seguito all’unificazione italiana, nel 1861 sarebbe stato eletto senatore del Regno d’Italia.

Di quella crisi coniugale, che ha dato così tanto su cui speculare agli storici dell’arte più inclini al gossip e alla grossolana analisi psicologica degli artisti e del loro entourage, nessuno di noi in famiglia ha mai sentito parlare in seguito.

Quanto meno, tutta l’acredine di Laura verso Gennaro doveva essere rientrata completamente dopo che la situazione sociale e finanziaria della famiglia si era ristabilita, visto che Laura, dopo la prematura morte del marito, avvenuta a soli cinquantadue anni nel 1864, ne avrebbe portato il lutto per tutta la sua restante vita, ovvero per ben trentacinque anni. Ne sono venuta a conoscenza quando, da una vecchia scatola in fondo ad un armadio di mia nonna, è emerso dalla carta velina uno dei suoi veli vedovili neri, delicatamente ricamati, che Laura aveva continuato ad indossare fino alla fine dei suoi giorni.

Per altri versi, comprendo come, in tempi come i nostri in cui l’arte e la cultura sono in profondo declino, il desiderio di scovare l’elemento scandalistico o di eccezionalità per attirare l’attenzione di un potenziale pubblico su una mostra o un saggio abbiano cominciato a far parte di una consuetudine consolidata. Non si può però fare a meno di rilevare che questo genere di specchietti per le allodole tendano a stratificarsi e a permanere nel tempo anche quando gli elementi su cui fanno perno sono del tutto inestistenti, sviando così anche gli studiosi da un corretto percorso di analisi di un personaggio o di un’opera.

Ho notato che in una delle ultime mostre su Degas e il suo rapporto con l’Italia che si è tenuta a Napoli, dove ancora resiste un solido retrofondo neoborbonico, si è scelto di riproporre, per l’ennesima volta, la favoletta del nonno ricco e aristocratico del pittore che sarebbe fuggito dalla Francia in Italia per evitare la ghigliottina in quanto, non solo nobile, ma anche coraggioso pubblico difensore della regina Maria Antonietta proprio nel momento in cui veniva condotta al patibolo.

Per chi non lo sapesse, invece, è ormai universalmente accertato da tempo che il mio quadrisavolo René Hilaire De Gas era figlio di un semplice maître boulanger e che era fuggito a Napoli per scampare, per il rotto della cuffia, ad una accusa di aggiotaggio sul prezzo del grano.

1- The Art Bulletin 59, no. 1 (March 1977) pagg 95-107

2- Degas and the Dancers – John Richardson, Vanity Fair, 18 maggio 2009

3 - Vedi Archivio di Stato di Napoli - Atto di morte di Giorgio Bellelli del 16 marzo 1846 - Quartiere Avvocata – Morti 1/1/1846 – 31/8/1846 https://antenati.cultura.gov.it/ark:/12657/an_ua17132305/02WaP2v