Degas au port-fusain, 1855
Favole e favolette intorno agli esordi di Degas
In alcune biografie di Degas si accenna alla battaglia che il giovane Edgar avrebbe ingaggiato con il padre Auguste per portare avanti la sua scelta di votarsi all’arte.
Si racconta di una sua fuga da casa, della permanenza in una soffitta malsana che gli avrebbe procurato quella malattia agli occhi che lo avrebbe reso cieco in vecchiaia, dell’intervento del nonno che lo avrebbe invitato a stare presso di lui in Italia e del fatto che avrebbe frequentato per un breve periodo la Reale Accademia di Belle Arti di Napoli. Insomma tutto un elenco di situazioni al limite del drammatico, che sanno piuttosto di narrazione apocrifa, e che, va detto, non solo non hanno trovato riscontri documentali ma sono stati decisamente smentiti dagli studiosi francesi.
Come si sa, però, verificare con i propri mezzi è sempre cosa utile. Così io stessa, molti anni fa, in una delle mie prime sortite a caccia di informazioni sulle cose di famiglia, sono andata apposta a Napoli per verificare se ci fosse una benché minima traccia concreta di una presenza di Degas nell’unico, breve, periodo di cui manca una documentazione puntuale della sua presenza a Parigi. E ho scoperto, con mio sommo disappunto, che all’Accademia di Belle Arti di Napoli mancavano proprio i faldoni relativi all’anno in questione.
La cosa non mi ha del tutto scoraggiato e, tempo dopo, avendo verificato che i De Gas viaggiavano volentieri in nave e comunque con mezzi di pubblico accesso, e che se ne poteva trovare notizia sui giornali dell’epoca, ho compulsato, pagina dopo pagina, tutti gli Arrivi e Partenze delle annate del Giornale del Regno della Due Sicilie relative a quel periodo. Devo dire che di cose interessanti ne ho trovata più di una ma nulla relativamente ad un eventuale soggiorno a Napoli di Edgar.
In seguito mi sono chiesta se quell’affermazione, circa la presenza ai corsi dell’Accademia del giovane Edgar, fatta originariamente da Riccardo Raimondi sul suo libro “Degas e la sua famiglia in Napoli” – e da allora data per buona da alcuni storici dell’arte e da un folto numero di sedicenti tali -, non fosse stata semplicemente frutto di voci non approfondite, di deduzioni dettate più dal campanilismo che dalla verità storica, insomma di informazioni raccolte e trasmesse senza una opportuna verifica.
Comunque, in mancanza di prove concrete, ritengo che, in occasione di mostre e convegni su Degas a Napoli, sarebbe meglio smettere di riproporre come fatto storico accertato quello che è solo un antefatto formativo del tutto ipotetico, a cui peraltro viene associato regolarmente l’imbarazzante sottolineatura sulle sue presunte origini aristocratiche che sono, notoriamente, inesistenti.
Tornando ad Auguste ed ai suoi rapporti col figlio, è molto probabile che egli si sarebbe aspettato che il primo figlio maschio del primo figlio maschio di un uomo di grande e incontestata autorità come René Hilaire De Gas, che aveva ormai una consolidata attività finanziaria in Italia e in Francia, seguisse il percorso a cui lui stesso, pur non avendone nessuna voglia, era stato a suo tempo obbligato. Non aveva fatto i conti con il carattere determinato di Edgar e con una nuova indulgenza, acquisita con l’età e con l’esperienza, di René Hilaire.
Nel 1850, quando era ormai già ottantenne, René Hilaire si era sobbarcato un viaggio fino a Parigi per accompagnare la figlia Laura, con la nipotina Ninì di un anno e mezzo, in modo che potesse ricongiungersi col marito Gennaro Bellelli che l’anno precedente era fuggito rocambolescamente da Napoli per evitare l’arresto. Il genero, deputato nelle fila dei liberali, era accusato di aver svolto un ruolo attivo nei fatti che avevano portato alla sollevazione popolare, repressa nel sangue, del maggio 1848 e per questo, nel 1853, sarebbe stato condannato a morte in contumacia.
In quella occasione René Hilaire aveva incontrato i figli di Auguste e in particolare Edgar, il nipote aîné, che non vedeva da quando era stato a lungo a Napoli da bambino, intorno al 1840, periodo in cui era nata sua sorella Thérèse.
Edgar, che aveva ormai sedici anni, era un allievo interno del Lycée Louis-le-Grand come i suoi fratelli che, dopo la prematura morte a trentasette anni della madre Celestine, nel 1847, erano stati mandati uno dopo l’altro in collegio.
René Hilaire, dopo aver compiuto la sua missione e aver lasciato la figlia e la nipotina tra le braccia del genero Bellelli, riprendeva la via del ritorno e il 23 giugno 1850, giunto a Marsiglia dopo i primi quattro giorni di viaggio in carrozza, scriveva ai figli rimasti a Napoli una lunga lettera per informarli del suo rientro in nave di lì ad un paio di settimane e raccontare l’incontro col figlio e con la sua famiglia a Parigi.
Il viaggio di ritorno da Parigi a Napoli, fra i vari tratti in carrozza, le pause per riposare, la traversata in nave da Marsiglia a Genova, i sei giorni di quarantena imposta dalle autorità borboniche a causa del colera che dilagava nel Nord Europa, e di nuovo la traversata fino a Napoli, sarebbe durato ben sedici giorni ma il nostro baldo ottantenne sembrava affrontare il tutto con grande disinvoltura. A maggior ragione se pensiamo che era partito da Napoli il 28 maggio, solo tre settimane prima, e che quindi aveva passato quasi tutto il tempo in viaggio.
Nel frattempo rassicurava i figli sul fatto che a Parigi aveva lasciato tutti in buona salute, che aveva avuto il piacere di conoscere i nipoti più giovani che non aveva ancora mai visto. Del primogenito, in particolare, diceva:
“Edgar est un petit homme raisonnant bien et solidement.”
Nonostante l’età avanzata, dunque, Renè Hilaire aveva ancora saldamente in mano le redini della sua attività. Stimato banchiere a Napoli, dove era in società con due dei suoi figli, Henri e Edouard, aveva costituito da una quindicina d’anni una sede anche a Parigi, gestita dagli altri due, Auguste e Achille, che mantenevano ottimi rapporti di affari con il consuocero Germain Musson, a sua volta impegnato in transazioni di vario genere fra la Francia e l’America, ivi incluso il florido commercio del cotone.
Era pertanto naturale aspettarsi che Edgar facesse parte a sua volta dell’impresa di famiglia.
Ma Edgar che pure non aveva manifestato nessuna inclinazione particolare per il disegno al tempo del liceo, il 7 aprile del 1853, solo dieci giorni dopo aver preso il baccalaureato in lettere, si iscriveva come copista al Louvre.
Nei tre anni successivi seguiva un percorso artistico non troppo lineare, fatto di lezioni da diversi insegnanti come Félix Barrias prima e Louis Lamothe dopo, una breve stagione all’École des Beaux-Arts, molte sedute come copista al Louvre e un’unica concessione a suo padre, quella di iscriversi alla facoltà di diritto senza obbligo di frequenza.
L’inizio del Grand Tour
Il 17 luglio del 1856, quando Edgar sbarca a Napoli proveniente da Marsiglia per dare inizio al suo Grand Tour, è un giovanotto beneducato, con una buona cultura classica che segue con convinzione i consigli di Ingres - che gli ha suggerito di disegnare molto e di esercitarsi a farlo anche a memoria -, oltre ad aver realizzato almeno un autoritratto rimarchevole, il cosiddetto Degas au port-fusain. E’ quindi pronto ad assorbire quanto più possibile dallo studio attento e approfondito delle opere degli antichi maestri che solo in Italia può vedere e assimilare da vicino.
Non è un caso se, una delle prime cose che fa, appena dopo essersi sistemato nella villa di suo nonno a San Rocco di Capodimonte ed aver assolto alle cerimonie di ossequio ai vari membri della famiglia che lo attendono a braccia aperte, sia stata quella di accompagnare il buon amico di suo padre Ms Burel, con cui ha viaggiato fino a Napoli, a visitare il museo più importante della città.
Ne vediamo qualche testimonianza in un cahier (classificato da Theodore Reff come Notebook n. 7) che, sulla prima pagina, riporta proprio la data di inizio del suo viaggio in Italia: 18 luglio 1856.
Da Theodore Reff - The Notebooks of Edgar Degas: A Catalogue of the Thirty-Eight Notebooks in the Bibliothèque Nationale and Other Collections. 2 vols. Oxford: Clarendon Press, 1976