01 maggio 2023

I De Gas di Napoli – Laura De Gas e Gennaro Bellelli (prima parte)

 


 
Laura De Gas e Gennaro Bellelli
 

Quando Degas arriva a Napoli nell’estate del 1856 va a stare a Capodimonte nella casa del nonno che, sebbene abbia ormai ottantasei anni, è a tutti gli effetti l’incontestato capofamiglia e non ha ancora ceduto le redini della sua attività ai figli.

Nella villa di San Rocco ritrova la sua zia preferita, la zia Laurette, che non vede da cinque anni, da quando cioè era stata per quasi un intero anno a Parigi all’epoca in cui vi si era rifugiato suo marito, Gennaro Bellelli, fuggito da Napoli per motivi politici.

Nel frattempo le cose sono cambiate. Lo zio Gennaro si è stabilito già da alcuni anni a Firenze e, dopo la condanna alla pena capitale che gli è stata comminata nel ‘53, ha richiamato presso di sé la moglie e le figliolette.

Laura, però, non si è rassegnata a lasciare Napoli definitivamente e spera ancora che si possa trovare una soluzione alla situazione del marito, la cui famiglia è molto ben introdotta alla corte di Ferdinando II.

Ma andiamo con ordine. Prima di raccontare il resto è necessario inquadrare la famiglia da cui proveniva Gennaro Bellelli, una famiglia in cui esistevano da sempre due anime in netta contrapposizione fra loro.


I Bellelli e la famiglia d’origine

Il padre di Gennaro, Gaetano Bellelli, era un grande proprietario terriero.

Possedeva una vasta area nella campagna salernitana intorno al paese di Capaccio, dove era nato nel 1770, nella zona per intenderci retrostante i templi di Paestum. Pare che fosse tanto grande che quando, nel 1883, il tratto di linea ferroviaria che andava da Salerno ad Agropoli fu terminato, il treno faceva ben tre fermate all’interno di quella stessa proprietà. 

 


                                                    Gaetano Bellelli

Aveva sposato nel 1802 Francesca Saveria Maresca dei Marchesi di Cesa, una nobildonna imparentata con molta gente che contava nel regno. Suo padre era cugino del Duca Antonio Maresca di Serracapriola che aveva rappresentato Ferdinando IV al Congresso di Vienna del 1815 ed era quindi cugina di secondo grado di suo figlio Nicola, che sarebbe stato Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1848.

Da quanto riferisce Riccardo Raimondi nel suo libro sui De Gas sappiamo che Gaetano Bellelli, che nel decennio dell’occupazione francese era stato insignito del titolo di Barone da Gioacchino Murat, dopo il ritorno dei Borbone fu nominato Colonnello delle milizie provinciali di Salerno, malgrado fosse uno dei più autorevoli esponenti della carboneria salernitana.

Il 23 aprile del 1819 fu fatto Cavaliere del Reale Ordine Militare di San Giorgio della Riunione da Ferdinando IV, che nel frattempo aveva preso il nome di Ferdinando I.

Questo non gli impedì di continuare a partecipare attivamente alla carboneria tanto che, durante la rivoluzione del 1820, fu a capo del Governo provvisorio di Salerno.

Intorno ai cinquant’anni si ritirò a vita privata fino alla sua morte a Vietri, nel 1838, senza essere mai molestato personalmente dalla polizia borbonica, forse anche grazie alla potente influenza della famiglia di sua moglie.

Da Francesca Saveria, negli oltre trentacinque anni di matrimonio, ebbe otto figli tra il 1804 e il 1829, quasi tutti con interessanti storie personali.

La maggior parte di loro rimase sempre fedelissima ai Borbone. Primo fra tutti il figlio maggiore, Raffaele, che aveva ereditato il titolo di barone e che era diventato Gentiluomo di Camera di Entrata, aveva cioè la cosiddetta “Chiave d’oro”, un privilegio che gli consentiva l’accesso a tutte le camere della reggia, comprese quelle del re.

Come lui gravitavano intorno alla corte napoletana anche i due fratelli Pasquale e Giovanni e le due sorelle, Carolina e Maria Luisa, che avevano sposato rispettivamente l’una il Marchese di Cercemaggiore Annibale Vulcano e l’altra un Capitano di Artiglieria, Francesco Nunziante, figlio di Vito, un personaggio notevole nella storia del Regno di Napoli prima e Delle Due Sicilie poi.

 

                                                Vito Nunziante

Di modeste origini, quarto di undici figli, Vito Nunziante era stato destinato a fare il sacerdote, malgrado il fisico imponente che suggeriva un mestiere meno spirituale. Estratto a sorte per il servizio militare, fece infatti una rapidissima carriera nell’esercito e, rimanendo sempre fedele ai Borboni, arrivò ad ottenere il potere di Alter Ego del Re e il comando supremo dell’esercito continentale. Dopo il periodo murattiano, divenuto comandante generale della divisione che aveva competenza su tutta la Calabria, fu lui a presiedere la commissione militare che giudicò e condannò a morte Gioacchino Murat sulla base di una legge da lui stesso imposta.

E’ da questo episodio che deriva quel proverbio napoletano che recita: Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje ‘mpiso.

In seguito, fu incaricato da Francesco I di Borbone di addestrare militarmente il figlio Ferdinando che, divenuto Re, lo nominò Governatore della Sicilia in attesa che il fratello Leopoldo assumesse personalmente l’incarico.

Non contento del proprio successo in campo militare, Vito Nunziante si impegnò anche in molte attività imprenditoriali, occupandosi di estrazione di zolfo, allume, sale ammonico e acido borico, ferro, piombo, marmo. Rese abitabile l’isola di Vulcano, piantando alberi e costruendo case. Fece bonificare la zona di Rosarno dove edificò un paese, San Ferdinando, ed avviò un’azienda agricola all’avanguadria che venne paragonata dallo stesso Re a quella di San Leucio.

Lo vinse solo la malaria, contratta durante quegli anni. Nel 1832, mentre cercava di curarsi dal “morbo nero”con le acque termali di Torre Annunziata, da lui stesso scoperte, morì circondato da una dozzina di figli e dalla seconda moglie. Di tutti questi figli, i primogeniti del primo e quello del secondo letto, ovvero Ferdinando e Alessandro, furono anch’essi Generali. Il primo dei due, sarebbe stato ricordato per la ferocia e la mancanza di umanità nel reprimere i moti antiborbonici della Calabria, e il secondo, vicinissimo al Re, al momento buono l'avrebbe tradito.

Dall’amatissimo marito Francesco Nunziante, secondo figlio di secondo letto del suddetto Vito, Maria Luisa Bellelli non risulta aver avuto figli, mentre la sorella maggiore Carolina di figli ne ebbe due, Francesco e Maria Luisa.

Secondo Riccardo Raimondi essi sarebbero ambedue figli del Marchese Vulcano, morto pochi mesi prima della nascita di Maria Luisa, ma, sebbene la bimba tecnicamente avrebbe potuto essere davvero sua figlia, Raimondi glissa elegantemente su un particolare che non può essere ignorato: Carolina Bellelli aveva da tempo una relazione con Leopoldo di Borbone, conte di Siracusa e fratello di re Ferdinando II. 

 

                                               Leopoldo di Borbone

Leopoldo di Borbone che dalla moglie legittima, la religiosissima Maria Vittoria di Savoia Carignano, aveva avuto una sola figlia, Isabella, morta a soli sei giorni di vita il 29 marzo 1838, si interesserà per tutta la vita della piccola Maria Luisa, nata un anno e mezzo dopo. Per lei otterrà dal fratello Re di aggiungere al suo nome la dizione “di Borbone”. Con questo titolo la figlia sposerà nel 1860 un principe russo, Mikhail Dolgorukov, fratello maggiore di Ekaterina Michajlovna Dolgorukova, la giovane donna che di lì a poco sarebbe diventata l’amatissima moglie morganatica dello Zar Alessandro II da cui avrebbe avuto tre figli.

 

                                  Ekaterina Michajlovna Dolgorukova

Del più giovane dei fratelli di Gennaro Bellelli, Federico, sappiamo che era un capitano di artigliera a cavallo e che sposa nel 1847 Francesca De Vito Piscicelli. Da un quadro e da una miniatura che conserviamo fra i ricordi di famiglia possiamo vedere che Federico aveva i capelli ancora più rossi del fratello Gennaro, gli occhi di un azzurro ancora più chiaro, sopracciglia e ciglia talmente chiare da apparire quasi bianche. 

 

                                         Federico Bellelli

Egli sarà l’unico dei fratelli con cui Gennaro e Laura rimarranno sempre in buoni rapporti. Sarebbe stato uno dei due unici ufficiali di artiglieria che avrebbero rifiutato le decorazioni assegnate dal re Ferdinando II dopo il massacro del popolo ordinato il 15 maggio del 1848 e subito dopo si sarebbe dimesso dall’esercito.

Rimane infine Errichetta, la sorella più piccola, nata nel 1829, a distanza di quasi dieci anni dagli altri fratelli. Di lei, che sposerà nel 1850 il barone Ercole Dembowski, parlerò più avanti diffusamente perché conoscerà Degas e lo incontrerà più volte nel periodo in cui egli sarà per mesi ospite degli zii Bellelli a Firenze.

Detto ciò sulla famiglia Bellelli, non si può che concordare con Riccardo Raimondi che nel suo libro afferma che Gennaro fu l’unico dei figli di Gaetano a seguire i suoi ideali visto che, dal punto di vista delle idee e delle frequentazioni politiche, aveva posizioni del tutto diverse da quelle dei suoi fratelli più anziani.

 

25 aprile 2023

Edgar Degas: l’inizio del Grand Tour

 

                                                    Degas au port-fusain, 1855

Favole e favolette intorno agli esordi di Degas

In alcune biografie di Degas si accenna alla battaglia che il giovane Edgar avrebbe ingaggiato con il padre Auguste per portare avanti la sua scelta di votarsi all’arte.

Si racconta di una sua fuga da casa, della permanenza in una soffitta malsana che gli avrebbe procurato quella malattia agli occhi che lo avrebbe reso cieco in vecchiaia, dell’intervento del nonno che lo avrebbe invitato a stare presso di lui in Italia e del fatto che avrebbe frequentato per un breve periodo la Reale Accademia di Belle Arti di Napoli. Insomma tutto un elenco di situazioni al limite del drammatico, che sanno piuttosto di narrazione apocrifa, e che, va detto, non solo non hanno trovato riscontri documentali ma sono stati decisamente smentiti dagli studiosi francesi.

Come si sa, però, verificare con i propri mezzi è sempre cosa utile. Così io stessa, molti anni fa, in una delle mie prime sortite a caccia di informazioni sulle cose di famiglia, sono andata apposta a Napoli per verificare se ci fosse una benché minima traccia concreta di una presenza di Degas nell’unico, breve, periodo di cui manca una documentazione puntuale della sua presenza a Parigi. E ho scoperto, con mio sommo disappunto, che all’Accademia di Belle Arti di Napoli mancavano proprio i faldoni relativi all’anno in questione.

La cosa non mi ha del tutto scoraggiato e, tempo dopo, avendo verificato che i De Gas viaggiavano volentieri in nave e comunque con mezzi di pubblico accesso, e che se ne poteva trovare notizia sui giornali dell’epoca, ho compulsato, pagina dopo pagina, tutti gli Arrivi e Partenze delle annate del Giornale del Regno della Due Sicilie relative a quel periodo. Devo dire che di cose interessanti ne ho trovata più di una ma nulla relativamente ad un eventuale soggiorno a Napoli di Edgar.

In seguito mi sono chiesta se quell’affermazione, circa la presenza ai corsi dell’Accademia del giovane Edgar, fatta originariamente da Riccardo Raimondi sul suo libro “Degas e la sua famiglia in Napoli” – e da allora data per buona da alcuni storici dell’arte e da un folto numero di sedicenti tali -, non fosse stata semplicemente frutto di voci non approfondite, di deduzioni dettate più dal campanilismo che dalla verità storica, insomma di informazioni raccolte e trasmesse senza una opportuna verifica.

Comunque, in mancanza di prove concrete, ritengo che, in occasione di mostre e convegni su Degas a Napoli, sarebbe meglio smettere di riproporre come fatto storico accertato quello che è solo un antefatto formativo del tutto ipotetico, a cui peraltro viene associato regolarmente l’imbarazzante sottolineatura sulle sue presunte origini aristocratiche che sono, notoriamente, inesistenti.

Tornando ad Auguste ed ai suoi rapporti col figlio, è molto probabile che egli si sarebbe aspettato che il primo figlio maschio del primo figlio maschio di un uomo di grande e incontestata autorità come René Hilaire De Gas, che aveva ormai una consolidata attività finanziaria in Italia e in Francia, seguisse il percorso a cui lui stesso, pur non avendone nessuna voglia, era stato a suo tempo obbligato. Non aveva fatto i conti con il carattere determinato di Edgar e con una nuova indulgenza, acquisita con l’età e con l’esperienza, di René Hilaire.

Nel 1850, quando era ormai già ottantenne, René Hilaire si era sobbarcato un viaggio fino a Parigi per accompagnare la figlia Laura, con la nipotina Ninì di un anno e mezzo, in modo che potesse ricongiungersi col marito Gennaro Bellelli che l’anno precedente era fuggito rocambolescamente da Napoli per evitare l’arresto. Il genero, deputato nelle fila dei liberali, era accusato di aver svolto un ruolo attivo nei fatti che avevano portato alla sollevazione popolare, repressa nel sangue, del maggio 1848 e per questo, nel 1853, sarebbe stato condannato a morte in contumacia.

In quella occasione René Hilaire aveva incontrato i figli di Auguste e in particolare Edgar, il nipote aîné, che non vedeva da quando era stato a lungo a Napoli da bambino, intorno al 1840, periodo in cui era nata sua sorella Thérèse.

Edgar, che aveva ormai sedici anni, era un allievo interno del Lycée Louis-le-Grand come i suoi fratelli che, dopo la prematura morte a trentasette anni della madre Celestine, nel 1847, erano stati mandati uno dopo l’altro in collegio.

René Hilaire, dopo aver compiuto la sua missione e aver lasciato la figlia e la nipotina tra le braccia del genero Bellelli, riprendeva la via del ritorno e il 23 giugno 1850, giunto a Marsiglia dopo i primi quattro giorni di viaggio in carrozza, scriveva ai figli rimasti a Napoli una lunga lettera per informarli del suo rientro in nave di lì ad un paio di settimane e raccontare l’incontro col figlio e con la sua famiglia a Parigi.

Il viaggio di ritorno da Parigi a Napoli, fra i vari tratti in carrozza, le pause per riposare, la traversata in nave da Marsiglia a Genova, i sei giorni di quarantena imposta dalle autorità borboniche a causa del colera che dilagava nel Nord Europa, e di nuovo la traversata fino a Napoli, sarebbe durato ben sedici giorni ma il nostro baldo ottantenne sembrava affrontare il tutto con grande disinvoltura. A maggior ragione se pensiamo che era partito da Napoli il 28 maggio, solo tre settimane prima, e che quindi aveva passato quasi tutto il tempo in viaggio.

Nel frattempo rassicurava i figli sul fatto che a Parigi aveva lasciato tutti in buona salute, che aveva avuto il piacere di conoscere i nipoti più giovani che non aveva ancora mai visto. Del primogenito, in particolare, diceva:

Edgar est un petit homme raisonnant bien et solidement.”

Nonostante l’età avanzata, dunque, Renè Hilaire aveva ancora saldamente in mano le redini della sua attività. Stimato banchiere a Napoli, dove era in società con due dei suoi figli, Henri e Edouard, aveva costituito da una quindicina d’anni una sede anche a Parigi, gestita dagli altri due, Auguste e Achille, che mantenevano ottimi rapporti di affari con il consuocero Germain Musson, a sua volta impegnato in transazioni di vario genere fra la Francia e l’America, ivi incluso il florido commercio del cotone.

Era pertanto naturale aspettarsi che Edgar facesse parte a sua volta dell’impresa di famiglia.

Ma Edgar che pure non aveva manifestato nessuna inclinazione particolare per il disegno al tempo del liceo, il 7 aprile del 1853, solo dieci giorni dopo aver preso il baccalaureato in lettere, si iscriveva come copista al Louvre.

Nei tre anni successivi seguiva un percorso artistico non troppo lineare, fatto di lezioni da diversi insegnanti come Félix Barrias prima e Louis Lamothe dopo, una breve stagione all’École des Beaux-Arts, molte sedute come copista al Louvre e un’unica concessione a suo padre, quella di iscriversi alla facoltà di diritto senza obbligo di frequenza.

L’inizio del Grand Tour

Il 17 luglio del 1856, quando Edgar sbarca a Napoli proveniente da Marsiglia per dare inizio al suo Grand Tour, è un giovanotto beneducato, con una buona cultura classica che segue con convinzione i consigli di Ingres - che gli ha suggerito di disegnare molto e di esercitarsi a farlo anche a memoria -, oltre ad aver realizzato almeno un autoritratto rimarchevole, il cosiddetto Degas au port-fusain. E’ quindi pronto ad assorbire quanto più possibile dallo studio attento e approfondito delle opere degli antichi maestri che solo in Italia può vedere e assimilare da vicino.

Non è un caso se, una delle prime cose che fa, appena dopo essersi sistemato nella villa di suo nonno a San Rocco di Capodimonte ed aver assolto alle cerimonie di ossequio ai vari membri della famiglia che lo attendono a braccia aperte, sia stata quella di accompagnare il buon amico di suo padre Ms Burel, con cui ha viaggiato fino a Napoli, a visitare il museo più importante della città.

Ne vediamo qualche testimonianza in un cahier (classificato da Theodore Reff come Notebook n. 7) che, sulla prima pagina, riporta proprio la data di inizio del suo viaggio in Italia: 18 luglio 1856

 

Da Theodore Reff - The Notebooks of Edgar Degas: A Catalogue of the Thirty-Eight Notebooks in the Bibliothèque Nationale and Other Collections. 2 vols. Oxford: Clarendon Press, 1976